Progetto ZEI, Zero Environmental Impact. Intervista al Prof. Marco Esti

Intervista raccolta da Fabrizio Russo

F.R.- La transizione del sistema vitivinicolo italiano verso un modello sostenibile rappresenta ormai un paradigma virtuoso a cui le aziende si uniformano sempre più, sia per assecondare le nuove aspettative dei consumatori, sia per garantire un’offerta che sia rispettosa del benessere e dello stato degli ecosistemi. Ne parliamo con il Prof. Marco Esti, professore ordinario di Enologia all’Università degli studi della Tuscia chiedendogli, anzitutto, cosa ne pensa di un modello di crescita che si ispiri a tali principi.

M.E. – Sono trascorsi ormai 50 anni da quando il concetto di sostenibilità fu introdotto nel corso della prima conferenza ONU sull’ambiente nel 1972, e poi dalla conferenza ONU su ambiente e sviluppo del 1992, è divenuto il nuovo paradigma dello sviluppo stesso. È, dunque, ragionevole ed opportuno che un comparto in costante evoluzione e variegato come quello vitivinicolo attui strategie e approcci, ormai ben conosciuti, di corretto utilizzo delle risorse e di riduzione delle emissioni di inquinanti. Insomma che operi in una logica di interazione responsabile con l’ambiente, da cui si generi un guadagno positivo sia a livello privato che a livello sociale, proprio come nel caso del programma Zero Environmental Impact, in breve ZEI.

F.R.- Ad oggi, in ambito vitivinicolo è possibile individuare numerosi disciplinari, protocolli o certificazioni che in qualche modo si richiamano al concetto di “sostenibilità”. In cosa si sostanzia il programma ZEI, e quali sono le differenze e/o gli elementi di discontinuità rispetto ai protocolli già esistenti?

M.E. – ZEI rappresenta un innovativo quanto concreto modello di gestione sostenibile della difesa della vigna che può contribuire anche ad esaltare i caratteri varietali delle uve. Potremmo, in sostanza, citarlo come esempio del fare viticoltura senza prodotti di sintesi e senza rame, aumentando la qualità delle uve. È il frutto della collaborazione con il Dott. Alessandro Leoni, enologo e produttore, con cui è stata attuata la progettazione e sperimentazione, ormai su larga scala, in differenti ambiti viticoli al sud, centro e nord Italia. In particolare, il programma ZEI ha trovato il suo sviluppo applicativo nella riduzione e riprogettazione dell’impiego di mezzi tecnici utili alla difesa della vite, nel controllo in particolare di peronospora, oidio e botrite. Grazie all’uso combinato e mirato di sostanze, che non abbiano effetti nocivi sulla salute umana (operatori e consumatori), animale e per l’ambiente (ad es. si supera l’utilizzo di rame e zolfo, previsti nel Biologico, che comunque sono dei contaminanti), si riesce a stimolare i naturali meccanismi di difesa nei confronti delle avversità biotiche che, nel corso dei 460 milioni di anni di evoluzione, gli organismi vegetali hanno sviluppato.

F.R.- Di quali sostanze stiamo parlando?

M.E. – Si tratta di “corroboranti”, ossia di potenziatori delle difese delle piante. Prodotti esclusivamente di origine naturale, come derivati di alghe, oli essenziali, estratti di legno, idrolizzati proteici e di chitosano, che dosati e somministrati secondo protocolli dedicati per uve a bacca nera e bianca, esplicano un’azione di controllo diretto sui patogeni ma anche di stimolazione nella pianta di una resistenza di tipo sistemico più duratura.

F.R.- Sperimentati su larga scala e in ambiti diversi, questi corroboranti sono stati efficaci a prescindere dalla forma di allevamento, dall’età della pianta, dal tipo di vitigno, dal clima, dalla composizione dei suoli, e dalle altre decine di variabili che rendono affascinante, e complicatissima, l’arte della viticoltura, o hanno manifestato una difformità di comportamenti, anche in relazione ai differenti terroir? Avete già fatto studi in tal senso?

M.E. – Fino ad oggi, inaspettatamente, abbiamo osservato che l’efficacia della strategia di difesa con il programma ZEI è pressoché analoga tra i distretti viticoli e tra i differenti contesti ampelografici, piuttosto risente dei diversi andamenti stagionali che richiedono l’adattamento dei protocolli per ciò che riguarda il calendario dei trattamenti e la composizione dei preparati.

F.R.- L’applicazione del protocollo ZEI, lei afferma: “ha trovato il suo sviluppo applicativo nella riduzione e riprogettazione dell’impiego di mezzi tecnici utili alla difesa della vite, nel controllo in particolare di peronospora, oidio e botrite”. Al di là dell’encomiabile opera di contenimento delle ampelopatie, prevede, un domani, di estendere le prerogative del protocollo, apportando le dovute modifiche, o creandone altri, per dotare le piante di maggiori difese contro i danni ricorrenti, provocati dagli stravolgimenti climatici e dal riscaldamento globale?

M.E. – Tema di scottante attualità quello del cambiamento climatico con gli eventi avversi che lo caratterizzano, come ondate di calore, siccità, gelate e grandinate e a cui la viticoltura dimostra particolare sensibilità. Le azioni per mitigarne gli effetti sono già in atto: vendemmie anticipate, migrazione dei vigneti a quote più alte e verso Nord ma occorre un lungo periodo di studio per comprendere a fondo la capacità dei diversi vitigni – in particolare di quelli autoctoni – di adattarsi ai cambiamenti per garantire produzioni soddisfacenti per qualità e per espressione varietale e territoriale del vino. Il programma ZEI, grazie all’attenta osservazione dei fenomeni che accadono in vigna, sarà certamente di aiuto nel far emergere possibili spunti per soluzioni adattive alle nuove condizioni.

F.R.- Un tema da sempre divisivo, ma, ahinoi ineludibile, è quello legato alla possibilità di ridurre sensibilmente, se non di azzerare, la presenza dei solfiti nel vino. Piante vigorose e uve più sane e ricche di polifenoli, potranno permettere un utilizzo sempre più parco della solforosa? E’ possibile realizzare, anche in annate poco felici, vini esenti da approssimazioni gusto olfattive, e da “volatili” sovrabbondanti, confidando esclusivamente sulla campana protettiva offerta dai solfiti prodotti durante la fermentazione?

M.E. – Le strategie di vinificazione basate sul non utilizzo o sul minimo impiego di SO2, contemplano, a mio avviso, approcci compositi e accurati che, facendo a meno della solforosa, possano far fronte alle molteplici azioni che tale sostanza svolge dalla pigiatura delle uve alla mescita del vino nel calice, funzioni essenzialmente riconducibili al controllo delle ossidazioni e dei microrganismi indesiderati. Il progetto ZEI si colloca effettivamente in un’ampia strategia di gestione sostenibile dell’intero processo produttivo a partire dal governo della vigna e della cantina fino alla riduzione degli input, tra cui la SO2, garantendo la produzione di vini dalla spiccata identità varietale e di elevata salubrità.

F.R.- Il protocollo ZEI è compatibile con tutte le diverse filosofie produttive: convenzionale, biologico, biodinamico, o il suo utilizzo è preferibile in presenza di pratiche agricole sostenibili?

M.E. – È un protocollo che può essere applicato in piena concordanza con le diverse filosofie produttive.

F.R.- Per quale motivo fa cenno al possibile potenziamento dei caratteri varietali delle uve?

M.E. – Abbiamo osservato, accanto all’aumento del vigore della pianta e alla maggiore resistenza all’attacco di fitopatogeni, un interessante effetto complementare, di tipo elicitorio nei confronti della clorofilla nelle foglie, e dei precursori aromatici e dei composti fenolici delle uve, in particolare antociani e tannini della buccia. Ma si tratta di dati ancora preliminari. E dunque, in futuro, il programma ZEI prevede il perfezionamento dei protocolli di trattamento in vigna ma, soprattutto, lo studio degli effetti enologici in termini di qualità e identità varietale dei vini prodotti.

F.R.

 

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Critico enogastronomico, ha collaborato a numerose guide e riviste di settore italiane e internazionali. Da oltre 20 anni scrive per “La Repubblica”, prima in cronaca di Roma, poi come collaboratore delle guide “Ai saperi e ai piaceri regionali”. Attualmente è coordinatore regionale di Umbria, Abruzzo e Puglia per la guida ViniBuoni d’Italia, e presidente dell’associazione Athenaeum.

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