Tappo, tappo delle mie brame…

Vita dura per i sommelier, che si vedono già scippati del potere di decretare, dalla sola stappatura della bottiglia, se il vino che contiene è da versare nei calici o nel lavello. Vita dura per il cliente, evidentemente maschio, che non potrà più decretare con aria trionfante da vero intenditore “sa di tappo!” a volte anche se il tappo è di silicone.
Ma vita nuova per il produttore che non deve più tremare ad ogni apertura di bottiglia, per il ristoratore che non vede più tornare indietro bottiglie “scartate” con evidenti danni di immagine e di bilancio, e per il povero consumatore che non deve più temere per il suo “ma tanto non mi intendo di vino” come se dovesse essere sottoposto ogni volta ad un esame.

Si parla dell’opportunità di sostituire il tappo di sughero con quello a vite.
Per la verità se ne stava parlando, sperimentando, e mettendo in pratica, da anni in tutto il mondo, e molte aziende in Italia si stavano già applicando a questa ricerca. Più o meno in sordina, perché a parlare di sostituire i tappi di sughero con qualcosa d’altro fino a poco tempo fa sembrava sconveniente e svilente per chi produce vini di qualità. E poi perché ci vuole tempo per vedere i risultati: col vino non ci sono scorciatoie.
Ma insomma, stiamo assistendo ad una rivoluzione? Anche no.

Perché la novità è solo nel fatto che ora qualcuno ha deciso di parlarne, di dare enfasi, con prove inconfutabili, al fatto che la qualità dei vini di pregio tappati con tappo a vite è rispettata. E che forse potrebbero anche avere una evoluzione migliore.

Ad uscire allo scoperto è stato il neonato gruppo degli “Svitati” che, ad onor del vero, è composto da alcuni tra i migliori vigneron italiani impegnati da anni in questa ricerca: dal Friuli è venuto Silvio Jermann, dal Piemonte Walter Massa, da Trento Mario Pojer, dal veneto Graziano Prà, e dall’Alto Adige Franz Haas Jr. e Maria Luisa Manna, figlio e moglie dello compianto Franz Haas.

Si sono ritrovati a Villa Sorio di Gambellara, nel vicentino, hanno portato alcune delle loro etichette, di quelle che fanno ingolosire solo a sentirne i nomi: il Soave 2010 di Graziano Prà, Sauvignon 2007 di Pojer&Sandri, una Barbera Monleale 2016 di Walter Massa, il Vintage Tunina 2013 di Silvio Jermann e il Pinot Nero Schweizer 2015 di Franz Hass. Vini che avevano le medesime caratteristiche -stesso vino, stessa vasca, stessa vendemmia, stessa forma della bottiglia, identico periodo di conservazione- ma con duplice tappatura: una parte tappate col sughero e le “gemelle diverse” con la capsula in alluminio.  Le hanno sottoposte ad una giuria composta da enologi, tecnici, sommelier, cuochi e giornalisti.
E nella sfida il tappo a vite ha vinto in 3 batterie su 5.

Cosa hanno voluto dimostrare gli “Svitati”? Un dato di una semplicità disarmante. Che la capsula a spirale è in grado di preservare il vino da facili ossidazioni, presenta una permeabilità all’ossigeno molto più bassa e variabile -a seconda del rivestimento utilizzato all’interno del tappo- per cui non lo immobilizza anzi, spesso lo avvia a quelle evoluzioni che questi grandi vignaioli immaginavano per il loro vino, permette una sigillatura perfetta, garantisce una omogeneità qualitativa delle bottiglie anche quando si stappano vecchie annate, è più comodo. E poi il tappo a vite è realizzato in alluminio, un materiale facilmente riciclabile, che a prendere iniziative per rispettare l’ambiente non si sbaglia mai.

Il risultato, nel bicchiere, è tutt’altro che banale, perché il tappo a vite evita le brutte alterazioni nel gusto e nel profumo, quelle invece rifilate da un tappo di sughero “malato” che a volte sono facilmente identificabili, quando il sentore di tappo è evidente, ma volte sono subdole, quando il suo odore non è così forte ma nel calice scende un liquido prosciugato delle sue meravigliose caratteristiche, annichilito da muffe e batteri diabolicamente mascherati. Il problema delle bottiglie fallate è lo spettro dei produttori. E la causa è solo lì, nel tappo di sughero.

Inoltre c’è a favore del tappo a vite anche il riscontro scientifico.
Il professore Fulvio Mattivi, ricercatore della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige, è intervenuto durante la presentazione del progetto “Svitati” a sostegno dell’utilizzo del tappo a vite riportando le analisi dell’Australian Wine Research Institute che già nel 1999 aveva condotto le prime sperimentazioni su quattordici diverse tipologie di chiusure del vino compreso il tappo a vite. “Nelle bottiglie – ha affermato Mattivi – con questa chiusura del tappo a vite, a distanza di anni, il vino dimostrava un colore ancora brillante e presentava delle caratteristiche organolettiche ideali. Sia per i vini rossi che per quelli bianchi, in queste degustazioni, le bottiglie con tappo a vite erano uguali alle migliori bottiglie con tappo di sughero”.

In Italia oltre 300 milioni di bottiglie di vino, il 20% di quello prodotto, vengono commercializzate con questa tappatura, in Europa Occidentale la quota è arrivata al 34%, nel mondo quasi 4 bottiglie su 10. Si parla di trenta miliardi di chiusure per il vino fermo e frizzante vendute principalmente in Australia e Nuova Zelanda (dove sono il 77% del mercato locale), nell’Asia Pacifico (il 54%) e nel Nord America (il 42%). Garantiscono, semplicemente, una cosa: il vino non saprà mai di tappo.

Certo, il sughero naturale (meno il sintetico) è ancora associato al vino di qualità, quello da enoteca o da ristorante di livello medio-alto, mentre il suo “competitor” al vino di fascia economica, di dubbia qualità o in vendita al discount, bisognerà combattere contro i pregiudizi.

Una sfida importante è stata lanciata, ma per asseverare l’utilizzo del tappo a vite ci vorrà del tempo, bisognerà rinunciare alle ritualità dell’apertura, all’attesa trepidante del verdetto dopo aver seguito il percorso del tappo dalla bottiglia al naso, e anche alle possibili delusioni. Ma poi è così negativo?

Rosanna Ferraro

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Giornalista, Sommelier, ha lavorato al Gambero Rosso per oltre 10 anni come giornalista, degustatrice per la Guida ai Vini d’Italia, autore e regista dei servizi televisivi per il Gambero Rosso Channel, autore di libri su vino, cucina e turismo. Ha partecipato al progetto di rilancio del brand Franciacorta e nel 2006 ha fondato Vinotype, un’agenzia di comunicazione specializzata per le Aziende vitivinicole. Nel 2010 ha lanciato il magazine on line Vinotype.it.

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