Gaiezza e un pizzico di afflizione: i due volti dell’Orvieto vitivinicolo. Parte seconda. Gemme enologiche dell’orvietano

Le aziende vitivinicole
Siamo rimasti piacevolmente sorpresi, talvolta finanche sbalorditi, assaggiando, nel corso di più vendemmie, i vini delle aziende protagoniste di questo articolo. Probabilmente degustare alla cieca alcuni di questi vini ci avrebbe indotto a collocare il loro areale produttivo, principalmente per ciò che riguarda le bottiglie nate dalla trasformazione di uve a bacca bianca, più a nord, in contesti climatici più freddi e maggiormente inclini a sottolineare sensazioni improntate alla verticalità e ad una signorile mineralità.

Chiariamo subito che le nostre degustazioni si prefiggono tutt’altre finalità, rispetto a quella di definire un’inopportuna gerarchia qualitativa tra le aziende. Le cantine che abbiamo scelto di raccontare: Argillae, Decugnano dei Barbi e Palazzone, stazionano ininterrottamente sulla cuspide della piramide qualitativa regionale, e se è corretto evidenziare differenze stilistiche, parlare della loro storia, della loro filosofia produttiva, descrivere i tratti distintivi del territorio di appartenenza, e altro ancora, appare del tutto inutile tentare di collocarle sui diversi gradini di un ipotetico podio. Quello che ci sentiamo di affermare è che i vini di tutte e tre le cantine rappresentano un efficace e potente antidoto, contro il flagello dell’astemia, e contro i pregiudizi, a onor del vero non sempre e non del tutto destituiti di fondamento, che alcuni consumatori, e una non trascurabile parte della critica, continuano a mantenere nei confronti dei vini di Orvieto.

Decugnano dei Barbi
Località Fossatello, 50.  05018  Orvieto  (TR) Tel. 0763 308255  www.decugnano.it  – info@decugnano.it   Proprietà: Famiglia Barbi.  Superficie vitata: 33 ha. Produzione complessiva: 110.000 bottiglie annue.

Insiste su suoli che trasudano storia del vino da ogni zolla, l’azienda della famiglia Barbi, giacché i terreni su cui poggiano i casali della tenuta sono gli stessi che nel XIII° secolo ospitavano i vigneti di cui era proprietaria la chiesa di Santa Maria di Decugnano, le cui uve, tradotte in vino dai contadini del luogo, appagavano, non sappiamo se in tutto o solo in parte, i bisogni enoici del clero di Orvieto. Testimonianze antiche e silenti della remota vocazione vinicola della zona, le suggestive grotte di origine etrusca, sono utilizzate oggi dall’azienda per l’affinamento dei vini. In epoca moderna, significative pagine dell’affascinante romanzo del vino orvietano sono state stilate da Decugnano dei Barbi, a cui va ascritto, tra l’altro, il merito di aver dato vita, per la prima volta in Umbria, ad uno spumante metodo classico, e di aver plasmato la silhouette organolettica di una delle primissime muffe nobili dello stivale. Costanza qualitativa, versatilità della gamma, profondità e ampiezza gusto-olfattiva dei vini, sono tratti distintivi d’una realtà guidata con passione e genialità dal dinamico Enzo Barbi, “tutore” di 32 ettari di vigne che affondano le radici in un lattescente tappeto sabbioso, fittamente popolato da conchiglie fossili, testimonianza incontrovertibile delle origini marine dei luoghi. I grappoli d’uva, nobilitati da sensibili escursioni termiche, che definiscono ed enfatizzano il loro patrimonio aromatico, da una gestione agronomica scrupolosa e responsabile (l’azienda si sta convertendo all’agricoltura biologica), e da pratiche di cantina di irreprensibile accuratezza, vengono immessi nella tramoggia e nei tini di vinificazione, producendo “mosti fermentati” in grado di colmare 110.000 bottiglie ogni anno. Last but not least: Villa Barbi: luogo conforme alla sorridente bellezza dei vini, nonché tempio consacrato alla cultura dell’ospitalità, collocato sulla sommità di una ridente collina, circondato da una corona di vigneti, sublimato dalla presenza di una splendida piscina e impreziosito da ambienti elegantemente arredati, destinati ad ospitare simposi enogastronomici e altri eventi conviviali.

La degustazione:

Il Bianco ovvero Mare Antico 2019
Esibisce un affresco aromatico luminoso e ampio il Bianco, Orvieto Classico Superiore che amalgama la personalità organolettica degli autoctoni: Grechetto (50%), Vermentino (20%) e Procanico (10%), con quella dello Chardonnay (20%) (i vitigni sono stati vinificati separatamente in tini di acciaio inox, ad eccezione di una piccola parte, circa il 5%, che è stata fatta fermentare in barrique, tra le cui pareti ha svolto la fermentazione malolattica). Sensazioni incisive e nitide di agrumi, ginestra, camomilla, erba falciata, susina, nespola, pesca bianca, mela e anice stellato, avvolte da densi respiri di salgemma e sfumature minerali, preannunciano una beva risoluta ed elegante, vivificata da una misurata impalcatura acida, che conferisce freschezza e dinamismo al sorso,  accompagnandolo in un percorso, bilanciato dalla morbidezza dell’alcol, che si risolve in un finale di bocca persistente e voluttuoso, caratterizzato dal puntuale ritorno, nella fase retrolfattiva, di sensazioni già percepite dal naso. Un radioso esempio di Orvieto, che rappresenta, non da oggi, un ineludibile riferimento per tutta la regione.

Il Rosso ovvero A.D. 1212 2018
Una seducente bevibilità, non disgiunta da un’esplicita complessità, caratterizza il profilo sensoriale del Rosso, blend di Syrah (65%), Cabernet Sauvignon (20%) e Montepulciano (15%), allevati a cordone speronato, vinificati in acciaio e, per circa un terzo della massa, posti a maturare in barrique di rovere francese. Manifestazione chiara della cifra stilistica della cantina, il “Rosso” veicola intense e raffinate emozioni sensoriali, aprendo un ventaglio vasto e particolareggiato di riconoscimenti olfattivi: prugna, piccoli frutti di bosco, marasca, chinotto e arancia sanguinella, che incalzano, in un travolgente crescendo, sensazioni scure: grafite, ginepro e sentori ferrosi, fuse con ricordi di tabacco e spezie orientali. Coerente con il naso, la bocca esibisce proporzioni e dinamiche decisamente ammalianti, innescate dalla relazione virtuosa tra la trama tannica, di aristocratica e levigata consistenza, l’alcol, e la spina acida. Un vino dalla classe adamantina, sublimato da una compiuta espressività olfattiva e da un’interminabile progressione gustativa.

Pourriture Noble 2019
È stata la prima muffa nobile prodotta all’interno dei confini regionali umbri, questa Pourriture Noble, figlia dell’incontro tra Grechetto, Procanico, Sauvignon Blanc e Semillon, sapientemente vinificati. Grazie a condizioni estremamente favorevoli: giornate calde e ricche di sole, alternate alle nebbie e all’umidità mattutina, la botritys si diffonde anno dopo anno, sebbene in modo incostante, rivestendo gli acini con un polveroso manto cinerino. Vendemmiate attraverso ripetuti passaggi in vigna, le uve, appena giunte in cantina, vengono pressate sofficemente prima di essere introdotte in un unico tino d’acciaio inox. Il risultato è un’ambrosia avvolta da un manto color oro, di confortante luminosità e brillantezza, che profuma di zafferano, miele di acacia, albicocca essiccata, frutta tropicale, arancia candita, spezie dolci e confettura di fichi. È un fantastico vino da meditazione, da centellinare golosamente da solo, o in compagnia di foie gras o di grandi formaggi erborinati.

Brut Metodo Classico Millesimato 2017
Ottenuto dalla selezione delle migliori uve aziendali, e reduce da un prolungato dialogo con i lieviti (48 mesi), consumato all’interno di suggestive grotte d’origine etrusca, questa invitante e golosa bollicina, prodotta con Chardonnay e Pinot Nero in parti uguali, esibisce un impianto olfattivo, veicolato da un insistente e fine perlage, che fonde caratteri autunnali e note primaverili. Pasticceria da forno, scorza di agrumi canditi -cedro e mandarino- bonbon anglais, gelatina d’uva fragola, nocciola, sentori erbacei e croccanti richiami di frutta a pasta bianca, inscritti in una cornice di gessosa mineralità, precorrono un assaggio all’insegna dell’alternanza tra freschezza e morbidezza. Prolungato e ricco di dinamismo il finale, segnato da una profonda scia sapida, mantiene pienamente e coerentemente, le ambiziose promesse del naso.

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Argillae
Vocabolo Pomarro, 45. 05011 Allerona (TR) tel. 0763 624604 info@argillae.eu www.argillae.eu Superficie vitata: 14 ha. Produzione complessiva: 80.000 bottiglie.

Sono più recenti, rispetto a quelli delle due altre aziende recensite, i natali di Argillae, azienda forgiata, investendo quantità massicce di intelligenza, energia, dinamismo e determinazione, da Giulia Di Cosimo, “nipote d’arte” da parte di nonno, il Cavalier Giuseppe Bonollo, autorevole e storico protagonista del mondo dei distillati. Fondata a metà degli anni ’80, questa magnifica realtà, che si estende su una superficie di 220 ettari, occupati, oltre che dai vigneti, che coprono una superficie di 14 ha., da un oliveto con piante della varietà: leccino, frantoio e moraiolo, e da un’ampia zona boschiva, popolata da lecci, querce, agrifogli, corbezzoli, poiane, fagiani, funghi e tartufi, oltre che dagli onnipresenti cinghiali, è a pieno titolo una creatura di Giulia, plasmata, sarebbe incongruo non precisarlo, anche grazie al fondamentale contributo di Lorenzo Landi, enologo dalle non comuni qualità, sia professionali che umane, che adottando una “cifra stilistica” rispettosa della personalità delle uve, e delle caratteristiche del territorio, riesce a creare vini, stratificati e identitari, che tratteggiano profili sensoriali di cristallina eleganza.  Dedita alla valorizzazione di varietà locali: Grechetto, Procanico, Malvasia, Verdello e Drupeggio, Argillae non estromette dai propri orizzonti produttivi i vitigni alloctoni, garantendo, indipendentemente dalla tipologia delle uve, e dal materiale con cui sono costruiti i tini di vinificazione, la realizzazione di etichette contrassegnate da un diffuso ed elevatissimo spessore qualitativo.

Riportiamo, di seguito, i valori rilevati a Ficulle nelle annate relative ai vini da noi degustati. L’indice Winkler, noto anche come somma termica, è dato dal totale delle temperature medie giornaliere, rilevate nel periodo vegetativo della vite (dal 1° aprile al 31 ottobre).

Stazione Annata Indice Winkler Pioggia apr-ott Pioggia tot
Ficulle 2014 1769,7 360,6 920
Ficulle 2016 1851,7 239,8 469,4
Ficulle 2017 2375 145,8 374,4
Ficulle 2020 2040,2 573,8 888,2

 

La degustazione:

Umbria Grechetto IGT 2020
Se il 2014 ed il 2017 si possono considerare millesimi agli antipodi, la 2020 è normalmente considerata un’annata piuttosto equilibrata, anche se calda. Nella zona di Orvieto i dati delle temperature confermano come il caldo sia stato mitigato da precipitazioni consistenti, in particolare durante il periodo vegetativo. Questo ha consentito alle piante di mantenere uno status idrico molto buono, essenziale, in particolare nelle uve bianche, per ottenere quadri aromatici di pregevole articolazione gusto- olfattiva.

Paglierino con riflessi verdolini. Notevole intensità olfattiva, giocata su toni di frutta gialla, pesca, frutto della passione, gardenia, cenni mielati, fiori bianchi, cedro ed erba falciata. Sorso perentorio, governato dalla sapidità e da una vivida freschezza, che avviluppa la componente fruttata. Finale vibrante e persistente.

Umbria Grechetto IGT 2017
Annata complicatissima, la 2017, la più calda degli ultimi 10 anni. Anche le piogge, sia durante l’anno solare, che nel periodo vegetativo della vite, sono state estremamente limitate. Per fortuna alcuni rovesci primaverili, e le buone riserve idriche costituitesi alla fine del 2016, hanno permesso alle foglie, almeno nelle zone più fresche, di reggere e di conservare la copertura della parete fogliare sui grappoli, essenziale in annate come questa. Motivo per cui acidità e aromi si sono mantenuti su livelli accettabili. Annata di grande concentrazione quindi, che l’azienda ha saputo interpretare senza rinunciare ad un solo grammo di coerenza stilistica e di forza espressiva.

Color giallo paglierino, attraversato da riflessi verdolini, rivela al naso sensazioni piacevolmente verdi: bosso, erbe campestri e muschio, fuse con note di anice stellato, pesca bianca e agrumi. Sorso avvolgente, succoso e ricco di energia, ravvivato da un’ammaliante vena minerale. Chiusura trascinante e sapida, sublimata da un incantevole latenza ammandorlata.

Umbria Grechetto IGT 2014
Annata fresca e piuttosto piovosa anche se, nella zona di Orvieto, in misura minore rispetto ad altre regioni.  Come si può vedere dai dati, le temperature sono state mediamente piuttosto basse e non hanno avuto picchi significativi durante il periodo estivo.
Questo ha consentito il mantenimento, nelle uve, di caratteristiche di freschezza, sia aromatica che acida, che hanno contribuito ad attribuire al vino una straordinaria longevità. Non stiamo parlando, come suggerisce l’andamento climatico, di un millesimo dotato di grande concentrazione, ma seppur abbondanti, le piogge non si sono rivelate eccessive nel periodo vegetativo, né durante le ultime fasi di maturazione, permettendo così di confezionare vini espressivi, di apprezzabile profondità.

Questo piccolo capolavoro enologico (vieppiù considerando le difficoltà dell’annata), fasciato da luminosi panni color oro, mostra un naso che offre nitidi rimandi di susina, anice stellato, muschio, pera, miele di castagno, spezie, sentori floreali ed erbe campestri, attraversati da una sorridente ed esplicita mineralità. Scandito da un ritmo ininterrotto e crescente, il sorso, ancor più sorprendente del naso, non mostra alcun cenno di cedimento, esibendo giovanili caratteri di freschezza e vitalità, e occupando perentoriamente l’intero cavo orale. Volume, equilibrio, ampiezza, profondità e una ammaliante stratificazione, fanno di questo vino un entusiasmante archetipo di piacevolezza e di complessità.

Primo d’anfora 2016 Umbria Bianco IGT. 2016
Annata di grande equilibrio, tendenzialmente fresca, ma con piogge limitate durante il periodo vegetativo che hanno consentito di ottenere una concentrazione piuttosto importante delle uve.

Avvolto da un manto color paglierino, il fuoriclasse aziendale, ottenuto dalla vinificazione di grappoli di Grechetto, Drupeggio e Malvasia, allevati a Guyot,  vendemmiati manualmente e posti a fermentare tra le pareti di anfore di terracotta, rivela all’olfatto sorridenti, stratificate e terse note di muschio, mandorla, sambuco, susina e melone d’inverno, fusi con cenni speziati, fiori di campo e ricordi di agrumi e sottobosco. Volume, pienezza, equilibrio e un succoso dinamismo caratterizzano l’espressione gustativa, che restituisce, nitidamente effigiati, riconoscimenti agrumati e una seducente sapidità. Tensione, agilità e una ben integrata spinta acida conducono il sorso verso un melodioso e interminabile finale, che ribadisce, senza mezzi termini, l’assoluta grandezza del vino.

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Palazzone
In una recensione relativa all’azienda Palazzone, che ho scritto non molto tempo fa su una delle “Guide ai Piaceri e ai Sapori regionali” edite da: “La Repubblica”, asserii che il nostro non è un paese per vini bianchi invecchiati. Purtroppo, a differenza di ciò che accade in Francia, la cultura della longevità, se riferita a bottiglie prodotte con uve a bacca bianca, fatica ancora tanto ad affermarsi. Eppure ci sono diversi terroir, non ultimo quello orvietano, e non pochi vitigni autoctoni (Verdicchio, Garganega, Fiano e altri ancora), che conferiscono ai vini caratteristiche che permettono loro di sfidare le ingiurie del tempo.

Andai a trovare Giovanni Dubini in azienda, nel suggestivo Podere Palazzone, luogo arricchito dalla presenza di un magnifico edificio, nato nel 1299 e destinato ad accogliere i pellegrini che transitando per Orvieto si dirigevano verso Roma. Fu allora, un paio d’anni prima della pandemia, che consumai la “mistica esperienza” di degustare alla cieca un vino che dichiarava, apparentemente, non più di 3 o 4 anni di vita. Un’ambrosia che esprimeva un’aggraziata complessità, eludendo tracce di stanchezza e manifestando una vitalità, un equilibrio ed una freschezza, proprie di vini che hanno pochissime vendemmie alle spalle. Scartare la bottiglia e scoprire che si trattava di un Terre Vineate 1993 è stata una piacevolissima, e per certi versi “scioccante” sorpresa, vieppiù considerando che non stiamo parlando del fuoriclasse aziendale, bensì del secondo Orvieto, che il ’93 è stato un millesimo complicato, e che il “Terre Vineate ”, vino alla portata di tutte le tasche, si può reperire spendendo cifre prossime ad una decina di euro. Palazzone, d’altro canto, ha interpretato fin dagli inizi del suo percorso un ruolo di apripista, tracciando parabole qualitative fondate sulla realizzazione di autentici archetipi: vini stratificati, longevi e ricchi di carattere, dalla marcata indole territoriale, che hanno scandito e indirizzato il corso degli eventi enologici del comparto vitivinicolo orvietano. Da sempre impegnato nell’opera di valorizzazione e divulgazione del terroir e del vino orvietano, Giovanni ha fondato, con altre 4 aziende: Mottura, Madonna del Latte, Cantine Neri e Tenuta Le Velette, l’ORV, acronimo di Oltre le Radici della Vite, associazione che si prefigge di restituire ai temi vinosi, in particolar modo a quelli relativi ai vitigni autoctoni, la valenza culturale e storica che questi meritano.

La degustazione:

Terre Vineate 2020
Unisce i caratteri del Procanico, che da solo occupa il 50% del blend, all’indole varietale del Grechetto 30%, del Verdello e della Malvasia, il Terre Vineate, vino contrassegnato da una encomiabile chiarezza espressiva e da un’ineccepibile accuratezza dei dettagli. Ricco di richiami fruttati: pesca bianca, pera, melone d’inverno, fusi con sentori di agrumi, zafferano, muschio e spezie dolci, colorati da pennellate di gessosa mineralità, e curiosamente velati da una garbata vena fumè, il naso anticipa una fase gustativa di trascinante progressione, enfatizzata a centro bocca da un dinamizzante palco acido, che incanala il sorso verso i binari di una piacevolezza tutt’altro che disgiunta da una già apprezzabile complessità. Finale prolungato e garbatamente sapido, delineato da un’amaricante latenza ammandorlata.  Buono subito, ma se potete, aspettate un paio d’anni prima di berlo!

Campo del Guardiano 2016
Avvolto da sgargianti panni color oro, il “Campo”, inizialmente severo e piuttosto restio a concedersi, dopo una breve permanenza nel calice distende, con inflessibile gradualità, un tappeto odoroso dall’ ampio e nitido spettro, con riconoscimenti di pera, erbe campestri, anice stellato, sambuco, ginestra, camomilla, pietra focaia e pompelmo. L’ingresso al palato, risoluto e largo, dapprima orientato verso sensazioni legate a una rassicurante morbidezza, vira in un secondo tempo verso note più verticali, dando vita ad una voluttuosa danza, orchestrata da una dotazione acida importante, ostacolata dalla tentazione di assumere caratteri taglienti, da una struttura polputa di tutto rispetto, oltre che da un non risibile contributo alcolico.  Tensione, profondità, intensità, nitore, volume, equilibrio, e un finale persistente ed energico, coerente con l’olfatto, impreziosiscono l’affresco gusto-olfattivo del fuoriclasse aziendale, vino che, nonostante si sia già lasciato 5 vendemmie alle spalle, manifesta caratteristiche di seducente freschezza.

Muffa Nobile 2019
Vendemmiate su terreni di origine sedimentaria e argillosa, esposti a nord, Nord Ovest, distribuiti su rilievi collinari, posti a 220 mt. s.l.m., le uve Grechetto, Sauvignon e Procanico, attaccate dalla botrite, si traducono, a valle di reiterate e non semplici operazioni di vinificazione, che si protraggono fino al mese di novembre, in un’inebriante ambrosia da meditazione. Rivestito da un manto dorato, con nuance color topazio, esibisce un cesto odoroso che, seppur ancora in nuce, già seduce, svelando un mosaico olfattivo che spazia dal cedro candito alla pesca sciroppata, dall’albicocca passita al miele, condite, ovviamente, con le tipiche note della Botritys Cinerea. Sorso ancora alla ricerca di una sua ottimale definizione, sferzato da una benefica e corroborante spina acida, e accarezzato da una setosa morbidezza.

Ovviamente, oltre alle aziende citate in questo articolo, anche altre hanno gettato il cuore oltre l’ostacolo, dando vita ad interpretazioni che nobilitano la Doc Orvieto. Sono ancora troppo poche però, considerando le enormi potenzialità del territorio. Speriamo che in futuro il loro numero aumenti considerevolmente.

Buon Orvieto a tutti.                                                                                             Fabrizio Russo

Ringrazio i componenti del panel di degustazione: Alicia Cabrera, Antonella Tarani, Lorenzo di Giulio, Michelangelo Fani e Fabio Colletti per il supporto dato nel corso dell’analisi sensoriale dei vini. Un altro grande grazie a Lorenzo Landi, per le preziose informazioni fornite, relative all’andamento climatico delle diverse annate.

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Critico enogastronomico, ha collaborato a numerose guide e riviste di settore italiane e internazionali. Da oltre 20 anni scrive per “La Repubblica”, prima in cronaca di Roma, poi come collaboratore delle guide “Ai saperi e ai piaceri regionali”. Attualmente è coordinatore regionale di Umbria, Abruzzo e Puglia per la guida ViniBuoni d’Italia, e presidente dell’associazione Athenaeum.

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