Il territorio, la vite e la famiglia Bosoni: un rapporto amoroso che prosegue da più di 60 anni
È nel territorio dei Colli di Luni, nel Levante ligure, che ha inizio, negli anni ’60, l’epopea vitivinicola della famiglia Bosoni, giunta con Diego alla sua quarta generazione di vignaioli. Una storia nata grazie allo spirito pioneristico, alla tenacia e all’operosità di Paolo Bosoni, consapevole, “in tempi assolutamente non sospetti”, del carattere di unicità del suo territorio, e fortemente determinato a far emergere le straordinarie, e ancora non sufficientemente espresse, qualità del Vermentino, all’epoca ancora incongruamente utilizzato come uva da tavola, e quasi mai vinificato in purezza.
Una storia ricca di momenti entusiasmanti, come quello vissuto nel luglio del 2023, quando fu inaugurata la nuova cantina e, immaginiamo, anche di qualche affanno (quasi sempre immancabile, quando si parla di attività come quella del vignaiolo, assoggettate, per citare soltanto uno dei mille possibili problemi, alle sempre più frequenti intemperanze del clima), ma soprattutto di progetti, sogni, passioni, speranze e, ingrediente da cui, specialmente in campo agricolo, non è possibile prescindere, da una smisurata quantità di duro lavoro.
Storia e profilo del territorio
Il comune di Luni, primo lembo di Liguria dopo il confine con la Toscana -sede dell’organizzato e multifunzionale complesso di edifici che compongono l’articolata struttura dell’azienda- si sviluppa sulla stessa area dove, secoli fa, erano ancorati velieri e triremi, giacché era da Portus Lvnae – oggi Colli di Luni – fiorente porto e ricca colonia romana, che salpavano navi colme di vasi vinari, destinati alla città di Roma.
Adesso come allora le colline intorno a Portus Lunae che salgono verso le Alpi Apuane, sono lusingate da un clima bonario, frutto dell’azione protettiva esercitata dalle montagne circostanti, e dalle carezzevoli brezze marine. Un contesto pedoclimatico decisamente benevolo nei confronti della coltivazione della vite, caratterizzato tuttavia da sostanziali difformità, relative soprattutto alle geometrie e alla composizione dei suoli, oggetto di approfondite ricerche che hanno evidenziato l’esistenza di tre diverse zone: una pianeggiante, una pedecollinare e una, quella più alta, segnata da pronunciate giaciture.
Una nitida linea di demarcazione tra l’area pianeggiante e le altre due, è tracciato dall’Aurelia, che presenta a sud, area di pertinenza dei vini Liguria di Levante IGT, suoli chiari, sabbiosi e sciolti, che mutano in direzione delle colline, dove le vigne aderenti alla Doc Colli di Luni insistono su terreni di medio impasto, disseminati di ciottoli alluvionali, e il disegno dei filari muta repentinamente, con le piante costrette a inerpicarsi lungo pendii sempre più aspri, che obbligano i vignaioli a erigere faticosi terrazzamenti.
Vitigni, vini e vigne di casa Lunae
Testimonianza esplicita di un percorso costruito con paziente e sapiente gradualità, è il parco vitato aziendale: un collage multiforme di 65 ettari distribuiti su oltre 40 parcelle di vigneto, collegate tra loro da un fitto dedalo di stradine, tortuoso e ineludibile passaggio per coloro che, a vario titolo, assolvono quotidianamente il gravoso compito di gestire i filari. I vigneti di Lunae iniziano due chilometri dopo la battigia, arrivando ad altitudini di 300 metri s.l.m. nelle zone collinari, e coprendo un arco di soli 10 km, che, non per motivi accidentali, presenta ai due estremi vigneti di Vermentino.
Quest’ultimo, protagonista principale della rappresentazione vitivinicola aziendale, occupa circa il 70% dell’intera superficie vitata, condividendo la presenza sui filari con una qualificata pattuglia di autoctoni: Albarola, Ciliegiolo Vermentino Nero, Pollera Nera, Massareta, Albarossa, Alicante, Greco, Canaiolo, e finanche Malvasia e Sangiovese, oltre all’alloctono Merlot, protagonista, in blend con il Sangiovese e la Pollera, di un vino prodotto per la prima volta nel 1997, in occasione del sesto centenario della nascita di Niccolò V, pontefice nato nel 1397 nella vicina Sarzana.
Al corpo principale, 10 ettari che circondano Ca’ Lvnae, popolati dal Vermentino e da vecchi filari di Merlot, si sommano i vigneti storici di nonno Bosoni: pochi ettari in collina rivolti a sud, da sempre destinati al Vermentino e all’Albarola, una serie di piccoli appezzamenti (per complessivi 9 ettari), che circondano i resti dell’Anfiteatro romano e, nella fascia alta delle colline, la più recente acquisizione della famiglia Bosoni, un vigneto di 30 ettari situato a Sarticola.
Un contributo tutt’altro che risibile alla causa aziendale è fornito dagli agricoltori che aderiscono a “Terra Viva Lvnae”, un progetto storico che coinvolge più di 100 vignaioli, che conducono, supportati dallo staff tecnico dell’azienda, circa 20 ettari di vigneto; oltre 30 sono condotti in regime biologico, dopo un percorso di conversione che ha comportato lavori complessi e tempi lunghi, data la notevole estensione e l’estrema parcellizzazione dei vigneti. Tutti, a prescindere dal tipo di gestione agronomica, sono amorevolmente accuditi, vendemmie manuali comprese, concimati con materiale organico e totalmente affrancati dall’ingerenza di pesticidi e diserbanti.
La gamma produttiva
Diffuso in Liguria, Toscana, Lazio e Sardegna, il Vermentino acquista caratteristiche peculiari in funzione del territorio di appartenenza. Nella zona dei Colli di Luni, sua terra di elezione, era considerato incapace, se vinificato in solitudine, di esprimere una compiuta armonia, e si preferiva pertanto vinificarlo insieme all’Albarola. Nonostante sia incentrata primariamente sulle emozioni organolettiche del Vermentino, la gamma produttiva di Lvnae si sottrae al monopolio bianchista includendo, oltre agli autoctoni Ciliegiolo e Vermentino Nero, i rossi dedicati a Niccolò V, un Rosato e, dal 2018, un Brut Metodo Classico. Il Vermentino, impiegato perlopiù in purezza, è il protagonista di cinque differenti etichette: Labianca, l’Etichetta Grigia e l’Etichetta Nera, il Cru Cavagino, e il Numero Chiuso, oltre al già citato spumante Brut millesimato.
Il Vermentino ama il mare, le brezze, il sole e la macchia mediterranea
Labianca 2023
IGT Liguria di Levante, è nata con la vendemmia 2019 vinificando, all’interno di serbatoi di acciaio termo condizionati, i grappoli raccolti nelle vigne più prossime al mare. Una piccola percentuale di Malvasia dona al blend un fresco e piacevolissimo timbro fruttato. Manifesta un’indole decisamente giovanile il millesimo 2023, svelando un olfatto dominato in una prima fase da sensazioni fruttate: nespole, agrumi, pesca bianca e mango, sostituite in un secondo tempo da sfumature mielate, frutta secca, salvia, spezie dolci e macchia mediterranea, avvolti da ammalianti echi marini. Un vino tecnicamente ineccepibile, che chiarisce esaurientemente la differenza che intercorre tra la banalità e la semplicità, dispensando sorsi, sapidi e ammandorlati, di inesauribile piacevolezza.
Etichetta Grigia, Colli di Luni Vermentino 2023
Vermentino storico dell’azienda, da uve coltivate nei vigneti pedecollinari, è stato il primo monovitigno prodotto, nel 1977 da Lvnae, un vino innovativo e moderno, che ha aperto nuovi e più vasti orizzonti al Vermentino, elevandosi a ineludibile archetipo per l’intera denominazione. Un vestito color giallo paglierino di spiccata luminosità, attraversato da nervose nuance verdoline, anticipa un caleidoscopio olfattivo ampio e particolareggiato, che intervalla melodiosi sentori di mela golden, caramella d’orzo, pompelmo, lime, anice stellato, a riflessi floreali di sambuco e camomilla. La bocca, di esemplare fattura, è caratterizzata da un attacco perentorio, che permette al vino di espandersi e di conquistare per intero il cavo orale, prima di incanalarsi verso un finale, sapido e prolungato, coerente con il naso.
Etichetta Nera 2023
Fin dalla nascita determinato a rendere esplicito il concetto di complessità, eleganza e longevità del Vermentino, è prodotto dal 1992, trasformando i grappoli vendemmiati sui filari più elevati, insistenti su suoli sassosi. È un bianco dotato di una cospicua quantità di estratti, e di un’impalcatura acida che si giustappone alla morbidezza, conferendo dinamismo e verticalità alla beva. Insignito di premi prestigiosi da parte della critica del settore (è stato eletto Vino Bianco dell’Anno per la guida del Gambero Rosso, con l’annata 2019), è, senza dubbio, l’etichetta più iconica della gamma produttiva. Contrassegnato da un’ineccepibile accuratezza dei dettagli, e da una costante chiarezza espressiva, l’olfatto mostra un ampio ventaglio di sfumature che spaziano dai richiami floreali a quelli fruttati: susina, mango, mela, pesca e pompelmo, impreziositi da sorridenti soffi balsamici. Dotato di un’interminabile progressione, enfatizzata a centro bocca da una dinamizzante acidità, il vino, aderisce didascalicamente ai caratteri dell’uva. Finale lungo, impreziosito da ricordi di mandorla e da una deliziosa latenza amarognola.
Cavagino 2023
Fu un’operazione per certi versi “obbligata”, quella di vinificare separatamente le uve di un piccolo vigneto che Paolo Bosoni acquistò a fine anni ’90. Una scelta che non poteva non tener conto della personalità straordinaria, e della vocazione “solista”, della vigna, munifica nel concedere elevati contenuti polifenolici alle sue uve, coltivate a quote alte, sfruttando uno stretto balcone dove le viti affondano le radici in una terra scura tempestata di piccole pietre polverizzate.
Scarsamente disposto a tollerare la prepotenza organolettica del rovere (a scanso d’equivoci, al fine di preservare l’identità e la purezza aromatica del vitigno, soltanto il 40% dei grappoli fermenta tra le doghe della barrique, mentre il rimanente 60% vinifica in acciaio termo controllato), tratteggia affreschi organolettici di dionisiaca bellezza, a partire dall’ammaliante spettro olfattivo, sede di un appassionante dialogo tra profumi articolati e coesi di albicocca, pompelmo, ananas, nespola e mela renetta, intrecciati con note floreali, bonbon anglais, nuance tropicali, miele d’acacia, resina e sentori erbacei. Il palato, vigoroso e pieno, alterna un’indole nervosa a un temperamento bonario, più incline alla morbidezza. Affilata ma non graffiante, l’impalcatura acida regala dinamismo e freschezza, contribuendo a creare un insieme equilibrato e armonioso, sublimato da un finale salmastro, intenso e prolungato, che riespone nitidamente alcuni dei temi esposti dal naso.
Numero Chiuso 2021
Nasce con la vendemmia 2008, e viene replicato soltanto nelle migliori annate, in soli 2.660 esemplari (il contenuto di una botte di 20 hl), Numero Chiuso, etichetta che, afferma Diego Bosoni “dà voce al lato paziente del Vermentino, godendo di una prospettiva di vita superiore ai 10 anni”.
Una luminosa veste color giallo paglierino introduce un’intelaiatura odorosa, esente da qualsivoglia incertezza o approssimazione, dalla quale emergono, per ampiezza, definizione e intensità, le note fruttate: pesca, albicocca e susina, le percezioni floreali: fresia e fiori di acacia, e la mandorla fresca, teneramente abbracciate ad ammalianti refoli di pietra focaia e vaniglia, e a una gessosa mineralità. La beva, non priva di originalità (singolarmente evocativa delle seducenti percezioni del Moscato), enfatizzata dalla sinergia tra le diverse componenti, e non priva della necessaria severità, esordisce in modo perentorio, soggiogando il cavo orale. Volume, profondità e dinamismo caratterizzano la beva, accompagnandola verso un finale di apprezzabile lunghezza, vivacizzato da una pronunciata impronta sapida e dall’ammaliante alternanza tra la misurata e fruttata dolcezza e le note amaricanti.
Un Vermentino che si discosta sensibilmente dalla cifra stilistica esibita dai suoi “fratelli”: un grande bianco capace di affrontare, senza remore, le sfide del tempo, e di confrontarsi con un ventaglio ampio di pietanze, osando finanche accostamenti “eretici”, senza mai correre il rischio di perdere i caratteri di eleganza, freschezza e mineralità, tipici del vitigno.
Metodo Classico Cuvée Lunae, Brut millesimato 2019 (da uve Albarola e Vermentino)
Sostiene Diego Bosoni “è la realizzazione di un sogno che ci ha accompagnato da più di una generazione: realizzare con i vitigni della tradizione un Metodo Classico che sia espressione del nostro territorio”. Cuvée Lunae affina in bottiglia sui propri lieviti per almeno 30 mesi prima della sboccatura. Una delle sue più felici “uscite ufficiali”, coincide con l’inaugurazione della nuova cantina, capolavoro architettonico a cui, con grande entusiasmo, dedichiamo il capitolo conclusivo dell’articolo.
La Cuvée mostra un insistito e sottile perlage e una golosa articolazione aromatica: biscotti, agrumi, nocciole tostate, pesca bianca, anice stellato, erbe aromatiche e pepe bianco. Il percorso gustativo, scandito dalla modulata verve carbonica, svela una luminosa mineralità, e una rinfrescante spina acido-sapida. Un vino spumantizzato di pregevole fattura, che si “accontenta” oggi (come fosse cosa da poco), di esprimere un’apprezzabile compiutezza e una commovente e lineare espressività, ma che possiede tutti i requisiti essenziali per diventare ancor più grande, e raggiungere i vertici nazionali della tipologia.
Last but not least: la Cantina delle meraviglie
Ho avuto modo di conoscere Diego Bosoni, e di visitare la sua magnifica azienda, nell’ambito di un press-tour organizzato pochi mesi fa, con la consueta ammirevole accuratezza, da Paola Thurner. Una visita per certi versi piacevolmente fuori dagli schemi, giacché dopo pochi minuti le consuetudini professionali sono celermente evaporate, lasciando il posto ad un gradevole clima conviviale. Gran parte del merito va ascritto, oltre che alla cordialità di Paola, e a quella dei colleghi presenti, alla trascinante simpatia del padrone di casa, e al suo irreprensibile senso dell’ospitalità.
È un compito gravoso definire quale, tra i diversi momenti che hanno scandito il ritmo della nostra visita, sia stato più appagante. Ma non è neppure possibile collocare la strabiliante scoperta della cantina “tra le altre cose viste”, peraltro tutte sorprendentemente belle, a partire dall’antico complesso rurale, intelligentemente ristrutturato e coordinato, con passione e ammirevole dinamismo, da Debora Bosoni.
È in questo articolato e curato gruppo di edifici che si promuove l’incontro tra saperi vitivinicoli e cultura dell’ospitalità, offrendo ai visitatori la possibilità di acquistare, oltre ai vini, una vasta e curata selezione di prodotti: sughi, pasta, salumi, olio extravergine d’oliva, e di sublimare le qualità dei mosti fermentati accostandoli a pietanze golose, nell’ambito di articolati wine-tasting, o nel corso di un gustosissimo, canonico pranzo.
Un istruttivo completamento dell’offerta è rappresentato dal “Museo della Cultura Materiale del Vino” che si sviluppa nelle stanze della casa padronale. Il Museo, frutto di oltre tre decenni di ricerche eseguite da Paolo Bosoni, racconta, attraverso un’interessantissima raccolta di oggetti e fotografie d’epoca, la storia della viticoltura locale. Ogni sala è dedicata ad una visione: La Terra, La Vendemmia, L’Artigiano, La Cantina e Il vino, temi impreziositi da elementi di arte contemporanea, nitidamente ed esaurientemente sviluppati, grazie al supporto di installazioni video.
Ma torniamo alla cantina
Operativa dalla vendemmia 2019, anche se l’inaugurazione ufficiale si è svolta nel 2023, la cantina, figlia di concetti estetici innovativi, frutto della genialità del suo creatore, il designer Andrea Del Sere, è luogo della memoria e della contemporaneità. Uno spazio senza tempo che celebra la relazione tra tecnologia, materia, territorio, uomo e viti, trascendendo la mera funzione di “locale di vinificazione e di stoccaggio”, per assurgere alla forma di autentica opera d’arte.
Un tempio consacrato a Dioniso, frutto del sapiente rifacimento di una vecchia struttura, e della costruzione di un nuovo fabbricato, edificato assecondando criteri ispirati alla sostenibilità ambientale, e realizzato in cemento prefabbricato con tetto in legno lamellare e pannelli ad alto coefficiente termico (la struttura può contare, per soddisfare fabbisogno energetico, su un’ampia quota di energia autoprodotta, la restante parte viene acquistata solo da fonti rinnovabili).
Superato un curatissimo giardino-vigneto, che riepiloga tutte le varietà presenti in azienda, una per filare, ci avviamo verso il tunnel che immette nella costruzione. Prima di entrare osservo lo sguardo seraficamente compiaciuto disegnato sul volto di Diego Bosoni, che, legittimamente fiero della sua opera, sta già pregustando l’ammirato e inevitabile stupore che a breve assalirà i presenti.
Sia la struttura in superficie che la parte interrata, rampe e scale ad uso interno comprese, assolvono funzioni primariamente “ornamentali”, rispondendo a un’esigenza estetica che non depriva però di una sola virgola l’efficienza tecnologica della cantina. Il percorso al suo interno, davvero emozionante, si snoda tra vetrate policrome, quinte scorrevoli, volumi sinuosi e materiali insoliti, proiettando il visitatore in un luogo magico, e in un tempo sospeso, che chiarisce esaurientemente: pensiero e desideri della famiglia Bosoni: far sì che la parola ‘utile’ non rappresenti la linea di demarcazione che separa l’universo vinicolo dal resto del mondo.
Una filosofia produttiva, e una concezione estetica, che orientano le scelte di questa splendida realtà, e che certificano, unitamente agli eccellenti vini degustati, come oltre mezzo secolo dopo l’inizio delle attività vitivinicole, gli obiettivi che si era prefissato Paolo Bosoni siano stati pienamente raggiunti, visto che oggi al Vermentino è riconosciuta, anche sui mercati internazionali (le bottiglie di Vermentino di Lvnae sono state tra le prime a raggiungere i mercati d’oltre oceano, alla fine degli anni ’90), la dignità che merita, e che le ricerche sull’identità più profonda del vitigno, unite all’analisi scrupolosa delle differenti zone di produzione, e alle approfondite sperimentazioni effettuate, hanno permesso di realizzare vini sempre più espressivi, territoriali e ricchi di sfaccettature. Vini che, soprattutto grazie al lavoro svolto dalla famiglia Bosoni, hanno accordato al Vermentino l’opportunità di travalicare gli angusti e iniqui ambiti del “piacevole vino estivo”, e di confrontarsi, senza timori reverenziali, con i più grandi bianchi, sia all’interno, che fuori dai confini di Enotria.
E cresce ogni giorno il numero di coloro che sostengono d’aver visto, nelle sere rischiarate dalla luna, Bacco, mentre ebbro e felice, “zompettava” e correva, lungo i declivi collinari che guardano verso il mare.
Buon Vermentino a tutti.
Fabrizio Russo
Ringraziamenti
Grazie a Diego Bosoni e alla sua famiglia, per la commovente, generosa ospitalità, e per avermi regalato un’esperienza meravigliosa. Grazie a Paola Thurner per avermi dato l’opportunità di conoscere una realtà tra le più interessanti e convincenti del panorama enologico nazionale, e grazie agli amici: Annalida Episcopo, Lorenzo Di Giulio, Luca Rivalta, Alessandro Baracchini, Elena Martinelli, Pierfrancesco Emili e Massimo Fabrizi, che hanno partecipato ai panel di degustazione, rallegrandoli e impreziosendoli con osservazioni argute e consigli, che hanno fornito un importante contributo alla narrazione dei vini.
Critico enogastronomico, ha collaborato a numerose guide e riviste di settore italiane e internazionali. Da oltre 20 anni scrive per “La Repubblica”, prima in cronaca di Roma, poi come collaboratore delle guide “Ai saperi e ai piaceri regionali”. Attualmente è coordinatore regionale di Umbria, Abruzzo e Puglia per la guida ViniBuoni d’Italia, e presidente dell’associazione Athenaeum.