Agripunica: una storia di non ordinaria vitivinicoltura

Come chiarisce il titolo dell’articolo, il percorso di Agripunica, prestigiosa ancorché giovane realtà del comprensorio vitivinicolo del Sulcis, poco ha a che vedere con la normalità. A meno che non si vogliano considerare normali le gesta enologiche di Giacomo Tachis, figura imprescindibile della cultura vitivinicola dello stivale, che ha alimentato il motore progettuale della cantina con massicce e competenti dosi di saperi vinosi; senza dimenticare, sarebbe delittuoso farlo, che sono stati “corresponsabili” dell’ambizioso disegno, personaggi di primo piano del panorama enoico nazionale, da Antonello Pilloni, storico presidente della Cantina Santadi, a Nicolò Incisa della Rocchetta, titolare della celebre Tenuta San Guido, nonché, particolare non irrilevante, creatore, con la collaborazione del “solito” Tachis, di quel sogno allo stato liquido chiamato Sassicaia. Il legame tra il papà dell’enologia italiana e la Sardegna, viscerale e remoto, giacché risale agli anni ’80, quando Tachis iniziò a collaborare, in qualità di consulente, con il Consorzio del Vino regionale sardo, e soprattutto con la Cantina di Santadi, a cui rimase sempre profondamente legato, non poteva che tradursi in una delle più rifulgenti gemme enologiche del globo terracqueo: quel Terre Brune, sublimazione delle qualità dell’uva Carignano, (rallegrata da un minuscolo contributo di Bovaleddu), che ispirerà, per chiarezza espressiva, intensità, ampiezza, complessità ed eleganza, molti grandi rossi, non solo isolani, tra cui non ultimo il regale Barrua (e sempre a Tachis va ascritto è il merito d’aver modellato l’ammaliante silhouette organolettica dell’iconico Turriga).

Sebbene l’anno di fondazione dell’azienda, il piovosissimo 2002, sia stato alquanto infelice in gran parte di Enotria, e il successivo uno dei più caldi in assoluto (contrassegnato inoltre dalla quasi totale assenza di escursioni termiche tra notti e dì), Agripunica, sfruttando al meglio le caratteristiche pedoclimatiche dei luoghi -suoli profondi e sassosi ricchi di venature argillose, sabbia e scisto- inverni miti, estati asciutte, e soprattutto un apporto costante e benefico di raggi solari e di luminosità, ha affermato il proprio credo enologico, e la propria cifra stilistica, dando vita a sontuosi vocaboli  vinosi, subito apprezzati (e premiati) dalla critica del settore e da una pletora di seguaci di Bacco.

Coltivando 70 ettari di superficie vitata, distribuita su due appezzamenti, Barrua e Narcao, ubicati nel Sulcis meridionale, Agripunica alleva, a guyot e a cordone speronato, viti aderenti alla piattaforma ampelografica isolana -Vermentino e Carignano- e varietà d’origine transalpina -Chardonnay, Cabernet, sia Sauvignon che Franc, Merlot e Shiraz- dando vita ad una gamma produttiva, minuta solo nel numero dei partecipanti, che contempla tre sole etichette, tutte classificate IGT Isola dei Nuraghi. Non è necessario essere degli acuti osservatori per notare come sia più che espressa la predilezione dell’azienda per il vitigno principe del territorio, il  Carignano, che, anche quando è associato a varietà internazionali, come nel caso del fuoriclasse Barrua (85% Carignano – 10% Cabernet Sauvignon – 5% Merlot) e in misura finanche maggiore nel Montessu (60% Carignano – 10% Cabernet Sauvignon – 10% Cabernet Franc 10% Merlot – 10% Syrah), non rinuncia ad esprimere caratteri di sensuale eleganza e un’esplicita indole territoriale.

La parte successiva dell’articolo racconterà le sensazioni derivanti da una degustazione effettuata, nonostante la caldissima giornata di un caldissimo luglio, in un contesto di piacevolissima e conviviale freschezza, “scaldato” soltanto dalle emozioni, dispensate a pieni calici dal Montessu e dal Barrua (protagonista quest’ultimo di una splendida degustazione verticale).

SAMAS 2021 – Grado alcolico 13.5%
Non è stata una dimenticanza quella di non inserire il Samas tra i “vini dell’emozione”, giacché questo bianco, ottenuto dal dialogo tra uve Vermentino (80%) e Chardonnay (20%), raccolte manualmente alle prime luci del giorno allo scopo di preservare il loro patrimonio aromatico, e fermentate in vasche d’acciaio con tecniche di crio-vinificazione, si muove su piani organolettici sensibilmente differenti rispetto ai suoi più ambiziosi fratelli vestiti di rosso.

La degustazione
Esempio virtuoso di una scrupolosa gestione agronomica, e di inappuntabili tecniche di cantina, il Samas, lungi dall’essere un archetipo di complessità, ruolo che peraltro non anela ricoprire, è uno struggente simbolo di piacevolezza. Un vino che sfoggia un’intelaiatura odorosa nitida ed esente da approssimazioni, ricca di croccanti note fruttate: pompelmo, melone bianco susina e ricordi tropicali, fuse con nuance di salvia e lentisco, che danno vita ad un insieme olfattivo intriso di mineralità. La beva, scandita da una proporzionata impalcatura acida, si espande perentoriamente sul cavo orale, conquistandolo per intero. Una vibrante dinamicità, con la nota alcolica elevata ma sottaciuta, contrastata dalle sensazioni acido-sapide, anticipa un finale equilibrato e goloso, che ribadisce l’attitudine del vino ad elargire, “semplicemente”, sorsi di squisita e sorridente bellezza.

 

MONTESSU 2019 – Grado alcolico 14.5%

Uve: 60% Carignano – 10% Cabernet Sauvignon – 10% Cabernet Franc 10% Merlot – 10% Syrah
Bottiglie prodotte: 140/145.000.
Prima annata in commercio: 2005.

Affondano le proprie radici nelle terre brune tipiche della zona, profonde, sassose e ricche di sabbia alternata ad argilla e calcare, le viti Carignano e le varietà alloctone che forgiano la struttura organolettica del Montessu, secondo vino, “sifaperdire”, della gamma produttiva aziendale. Frutto della trasformazione di grappoli raccolti manualmente, e vinificati a contatto con le bucce per 12-15 giorni, a temperature variabili tra i 25 e i 28 ° C., i mosti fermentati (ogni varietà è vinificata separatamente) vengono trasferiti tra le doghe della barrique, e successivamente assemblati all’interno di vasche di cemento vetrificato, dove il vino riposerà per circa 40 giorni prima del processo di maturazione che lo riporterà ancora nella barrique, dove riposerà per circa 15 mesi.

La degustazione                                                                                                  Una luminosa sequenza di pennellate rubino, dopo aver colorato le pareti del calice, lascia il posto a un ventaglio aromatico nitido e ampio, che apre su note di amarena in confettura, prugna, mirto e refoli balsamici, che avviano una crescente e irrefrenabile progressione odorosa, contrassegnata da profumi di tabacco biondo, grafite, spezie dolci e macchia mediterranea. L’affascinante quadro gustativo, giocato sull’armonia delle diverse componenti, è vivificato e scandito da un signorile tessuto tannico e dall’intervento, preciso e modulato, della componente acida. Finale prolungato e terso, contrassegnato dal nitido ritorno delle percezioni odorose. Complessità, piacevolezza ed eloquenza si ritrovano in un vino dal respiro contemporaneo, che riepiloga compiutamente, e senza alcuna titubanza, il concetto di eleganza.

Sua maestà il Barrua

Un doveroso preamboloChi scrive, così come coloro che mi hanno accompagnato in questa bella avventura vinicola, aveva delle aspettative elevatissime in merito ai vini proposti nell’ambito della degustazione. Aspettazioni indotte dall’aver partecipato ad un’iniziativa organizzata da Athenaeum – L’Ateneo dei Sapori, e guidata dal sottoscritto con la collaborazione del collega Maurizio Valeriani, incentrata sulle gemme enologiche a bacca rossa della Cantina di Santadi e di Agricola Punica. Terre Brune, Rocca Rubia, Montessu e Barrua hanno distribuito quantità tutt’altro che omeopatiche di emozioni a tutti i presenti, come l’elevato spessore qualitativo della compagine lasciava peraltro presagire; ma un vino in particolar modo rimarrà, indelebile e amabilissimo ricordo nelle nostre golosissime menti: il Barrua 2010, un monumento di complessità, ampiezza, profondità e intensità gusto-olfattiva, che non faticherebbe, se solo riuscissi a ricordare quali sono gli altri 99, ad entrare nell’elenco dei 100 vini più avvincenti che hanno accompagnato la mia carriera di beone militante.

La degustazione verticale di tre annate “pari”, seppur dolorosamente orfana del mitico 2010, ha evidenziato una qualità cospicua e diffusa e l’aderenza dei vini ai caratteri varietali delle uve e la loro connessione con l’andamento climatico delle diverse annate. Elementi che sottolineano la volontà dell’azienda di continuare a calpestare, senza cambiamenti di direzione, la strada maestra che conduce verso l’eccellenza.

Il Barrua
Da uve Carignano, accompagnate da un 15% di varietà alloctone, l’ennesimo capolavoro enologico firmato Tachis, è il prodotto della trasformazione di grappoli vinificati, dopo una vendemmia che nel rispetto dei differenti tempi di maturazione si protrae per circa un mese, in serbatoi d’acciaio inox termocondizionati. Rese contenute e una gestione scrupolosa della vigna, consegnano ai tini di vinificazione uve dotate di una materia polifenolica importante, che non subisce la tirannide legnosa della barrique, ottundendone l’invadenza grazie ad una notevole materia estrattiva, alla nobiltà del tessuto tannico, e a tenori alcolici elevati, ma mai ridondanti.

Barrua 2016
Inizialmente austero, ma dopo una breve permanenza nel calice aperto al sorriso, il Barrua 2016 sfoggia una performance sensoriale persino superiore alle aspettative. I toni scuri del manto introducono un mosaico olfattivo composto da tessere policrome e vivide, di sontuosa espressività e tersa definizione. Ricco di fragranze fruttate, visciola e piccoli frutti di bosco su tutti, alternate a note di cacao, eucalipto, spezie dolci, capperi, erbe campestri, viola e corteccia, fuse con note ematiche e ricordi di grafite, il vino esibisce una bocca generosa e compiuta, che cerca, e mirabilmente trova, “verso l’alto”, il proprio punto di equilibrio. Tannini di aristocratica consistenza e una misurata impalcatura acida dialogano amabilmente con la nota alcolica, convogliando il sorso verso un finale prolungato ed intenso che riespone nitidamente, nella fase retrolfattiva, i temi già inoltrati dal naso.

Barrua 2014
Millesimo tra i più infelici degli ultimi anni, in molte zone della penisola, la 2014, seppur non avara di fenomeni piovosi, è stata in Sardegna un’annata decisamente positiva con i danni provocati (ma circoscritti soltanto ad alcune aree) dalla peronospora, più che compensati dalla qualità delle uve e da un diffuso incremento della produzione. Cromaticamente affine alla versione 2016, il ’14 esibisce, con ininterrotta gradualità, un’affascinante cornucopia aromatica che spazia dalle suggestioni fruttate, marasca e more di rovo, alle note di mirto, macchia mediterranea e refoli “liqueriziosi”, che anticipano uno sviluppo gustativo intenso, polputo e al contempo scorrevole, per nulla intimidito da un tenore alcolico sostenuto (15°), ma incapace di esprimere qualsivoglia ampollosità. Contraddistinto da caratteri ancora fanciulleschi, che lo fanno apparire persino più giovane del 2016, offre un assaggio ammaliante, all’insegna della compiutezza espressiva e dell’equilibrio, frutto dell’intervento, intonato e corale, delle diverse componenti del vino.

Barrua 2012
La 2012 è stata una buona annata, caratterizzata da un numero sufficiente di precipitazioni piovose più accentuate nei mesi autunnali e in quelli invernali, e da una primavera che, seppur avara di piogge, ha offerto condizioni climatiche che hanno favorito un buon germogliamento e un’apprezzabile vigoria nelle fasi iniziali di vegetazione. Le piogge totali durante l’annata agraria sono state intorno ai 500 millimetri, sostanzialmente in linea con la media degli ultimi anni. Un millesimo “tranquillo”, anche in relazione alle malattie fungine che ha permesso, tra l’altro, di effettuare pochissimi trattamenti. Le temperature durante il periodo vegeto-produttivo sono state in linea con quelle dell’ultimo decennio, con un inverno abbastanza mite, una primavera a tratti molto calda, e un periodo estivo contraddistinto da significative escursioni termiche.
Figlio di un Bacco diverso, il 2012, a differenza dei millesimi già degustati, si muove su un registro stilistico che, pur mantenendo l’eleganza e l’equilibrio come cardini vincolanti della propria struttura sensoriale, esprime caratteri decisamente originali, che avvicendano descrittori aromatici dall’impronta risolutamente giovanile, a percezioni indirizzate verso profumi terziari. Dapprima restio a concedersi, si sdebita ampiamente per la scarsa subitaneità olfattiva, esibendo un naso stratificato e nitido, prodigo di riconoscimenti balsamici e fruttati: eucalipto, resina, marasca e piccoli frutti di bosco, adagiati su un sottofondo di cacao, spezie, mirto, sottobosco, liquirizia e grafite. Bocca sontuosa, con il sorso che si immette, categorico e largo, nel cavo orale. Il concetto di armonia (esito del dialogo tra l’elevato tenore alcolico: 14.5°, la copiosa presenza degli estratti, il proporzionato palco acido e un tessuto tannico carezzevole, che ritmando i tempi della beva l’accompagna verso un finale coerente ed interminabile), ancora una volta felicemente espresso, ci ricorda che: profili olfattivi pregevoli, marcati lineamenti gustativi, personalità, complessità e costanza qualitativa, elementi che caratterizzano fin dagli albori la produzione vinicola di Agripunica, non maturano sulle piante dell’improvvisazione o del marketing, ma sono figli di una conduzione rigorosa del vigneto e di vinificazioni ineccepibili e, soprattutto, di ingredienti imprescindibili, come la passione, la competenza e l’amore per il territorio.

Buon Barrua a tutti voi.

AGRIPUNICA S.p.A. Località Barrua
09010 Santadi (SU)
Tel. +39 0781/941012 – Fax +39 0781/953149
www.agripunica.it – info@agripunica.it

Fabrizio Russo

Ringrazio sentitamente l’azienda, e un enorme, riconoscente grazie rivolgo a Salvatore Santus, anfitrione straordinario che ci ha trasmesso, con encomiabile professionalità e commovente entusiasmo, notizie utili per comprendere la storia, il contesto territoriale e la filosofia produttiva di Agripunica, contribuendo ad accordare connotati piacevolmente conviviali ad una degustazione che, soprattutto grazie a lui, non ha mai corso il rischio d’esser confinata tra gli steccati del “tecnicismo enologico”. Last but not least, un grazie di cuore agli amici Anna Paola De Michele, Antonella Tarani e Stefano Marano, amabili compagni di mai banali bevute, nonché appassionate e competenti fonti di preziosi suggerimenti, da me largamente utilizzati per arricchire l’articolo.
FR

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Critico enogastronomico, ha collaborato a numerose guide e riviste di settore italiane e internazionali. Da oltre 20 anni scrive per “La Repubblica”, prima in cronaca di Roma, poi come collaboratore delle guide “Ai saperi e ai piaceri regionali”. Attualmente è coordinatore regionale di Umbria, Abruzzo e Puglia per la guida ViniBuoni d’Italia, e presidente dell’associazione Athenaeum.

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